10 aprile 2013

RADIOFRECCIA - LUCIANO LIGABUE




"Ohhh, non ve lo ripeto più eh! La vita non è perfetta, le vite nei film sono perfette... Belle o brutte ma perfette... Nelle vite dei film non ci sono tempi morti, mai! E voi ne sapete qualcosa di tempi morti eh?"
Bonanza, dritto in camera. Buio.

"Meno male che questa radio di merda chiude."

                         RADIOFRECCIA - Pt. 1 di A. Vanzelli - A. Chimenti

Sarà stato l'inverno tra il 1998 e il 1999, il primo da universitario a Potenza.
Si può dire, senza rischi di essere smentito, che nei mesi freddi Potenza ha la verve di Bersani e cala in letargo stile Yoghi: roba che, in confronto, una ghost-town americana sembra Las Vegas.
Tutto ciò, quando arrivai, mi sfuggiva e fantasticavo di feste ogni sera in un appartamento differente, di notti mirabolanti con fanciulle dinisibite, di rituali hippie di gruppo in piazza Prefettura.
Deliravo... Erano invece serate di chiacchierate, di panini e coca in pub affollati solo dal barista e dalla cameriera cessa, di infinite partite a tressette a perdere con gli amici e di risate: si, perchè quelle non sono mai mancate. Mai, sempre a ridere.
Quando in bacheca appesero l'insegna del cineforum, non potei che rallegrarmene. Con il deca degli 883 non sarei andato via ma mi sarei visto cinque film. Tutta roba uscita da poco al cinema, tutti scelti da un ente illuminato perchè, in quelle rassegne, ricordo titoli come "La leggenda del pianista sull'oceano", "Il Miglio verde", "Il mistero di Sleepy Hollow" and so on....
Quella sera pioveva e io abitavo dall'altra parte della città. Non avevo auto ma di stare in casa non se ne parlava.
Luciano Ligabue - Caricatura di Antonio Chimenti
C'era Flavio che limonava con una biondina dai mille orecchini in viso, biondina che mi regalò una cassetta dei Timoria: grazie Francesca, eternamente grato. C'era Francesco che zoppicava a causa di un professorone stronzo che gli aveva sbagliato l'intervento alla caviglia, ma che rallegrava sempre tutti con la sua gioia di vivere. C'era Angelo a cui ho sempre, genuinamente, invidiato la bontà e l'ascendente sulle donne. C'era Domenico, che arrivava da fuori, con la sua tranquillità e i suoi modi perbene. C'erano Susy e Carla, coi loro dolci sorrisi, e c'era anche tanta gente che gli anni ha sbiadito.
No, di stare a casa no, dicevo, quel film mi intrigava... Ero curioso di vedere cosa avesse tirato fuori dal cilindro Ligabue e poi, come potevo dare buca ad una colonna sonora di tal genere?

In origine, fu "Fuori e dentro il borgo", un libro di racconti che piacque molto a Domenico Procacci, produttore che sino a quel momento aveva prodotto ottime cose, tra cui Piccioni e Rubini.
In quel libro, Procacci trovò quei sapori e quelle atmosfere della provincia, in questo caso l'Emilia, che avrebbe voluto riportare sullo schermo.
Non conoscendolo di persona, Procacci scrisse al cantante una lettera spiegandogli che gli sarebbe piaciuto ricavarne un film e che avrebbe voluto costruirlo con lui.
Al Liga, che aveva appena finito la trionfale tournèe negli stadi (arrivava dal boom di "Buon compleanno Elvis" e "Su e giù da un palco"), l'idea stuzzicò ma non si sentiva all'altezza di dirigerlo. Alla fine Procacci riuscì a convincerlo, aveva già capito come sarebbe andata a finire.

Il film inizia con le parole di Bonanza a cui seguono immagini del borgo, e in sottofondo le ultime telefonate degli ascoltatori di Radiofreccia.
Lo speaker seduto al microfono sembra proprio Ligabue di spalle. No, è Bruno Iori, che ci spiega che la radio chiuderà alle 23.59, un minuto prima di compiere diciott'anni. E inizia a raccontarci la sua gloriosa storia.
All'inizio era Radio Raptus; diventa Radiofreccia quando Ivan Benassi, detto Freccia per la voglia sulla tempia destra, viene trovato cadavere in un fosso.
Che funerale! Il paese intero dietro il carro funebre e la banda che suona "Can't help falling in love", il pezzo con cui Elvis chiudeva i concerti... Un'uscita di scena da rockstar.

Da lì, inizia un lungo flashback sulla storia di Freccia, dei suoi saliscendi, degli amici e della loro radio libera.
E dal funerale si passa direttamente al cimitero, dove il ragazzo parla alla tomba del padre Athos di quanto sia troia sua madre, una burrosa Serena Grandi.
Se ne va con un sorriso - perchè tanto è sicuro non si incazzino più di nulla lassù - e si entra in un nuovo microcosmo a parte: il bar, che poi è il Bar Sport di Benni, o il Bar Mario, per non allontanarci troppo.
E incontriamo Bonanza, che vuole sfondare nel cinema, e Kingo, che scimmiotta Elvis ai matrimoni. Poi Virus, che per scommessa mangia lombrichi e Cinquecento. C'è Pluto che con microfono e registratore va a caccia delle voci dei fantasmi, sino a quando non becca Berlinguer che, da comunista, è finito in Paradiso.
C'è l'organizzatore di lotterie a 3mila lire il biglietto. Il premio? Un giro con una formosa - abbondantemente formosa - donna di esilissimi costumi.
Nel bar le spine non devono far rumore giocando al calciobalilla e sempre nel bar bisogna stare attenti al "rimorso", che se te lo prendi sono cazzi, e prese per il culo dagli altri.
Francesco Guccini è il padrone di casa Adolfo, barista scoglionato, dalle birre caldine e dalla risposta pronta ("ci do un colpo di fornello solo per te!").
E' lui che spiega a Bruno cosa sia una radio libera e la voce che arriva è proprio quella di Ligabue: "
"Siete su Radio King, da Reggio: solo musica buona, solo la musica che ci pare. Per le vostre richieste chiamate il 581363. I pezzi brutti non ve li passiamo."
Ed è sempre lo stesso Liga ad interpretare il deejay figo e contorniato da bonazze che i ragazzi vanno a spiare per capire cosa serve per mettere in piedi la loro di radio.

Curiosità: "Il bar era finto. La macchina del caffè non funzionava, le bottiglie erano piene di schifezze, non certo quello che era indicato sulle etichette. Ad un certo punto entra un vecchietto che non capisce di essere sul set di un film e chiede un caffè corretto. Io gli spiego che la macchina del caffè non funziona, perchè il bar è finto. Lui mi osserva guardingo e poi mi dice: 'Vabbè, allora mi dia un amaro Montenegro'". (F. Guccini - "Portavo allora un eskimo innocente").

La storia, dicevamo, ruota attorno a Freccia e ai suoi amici: Bruno, fidanzato da anni con una tipa che nel film non apparirà mai; Tito, che nasconde abissi, che per quanto possano essere profondi risaliranno sempre a galla; Boris, lo stronzo, e Iena, il conformista e coscienza del gruppo.
La prima richiesta a Radio Raptus è "Sweet Home Alabama" dei Lynyrd Skynyrd, sulle cui frequenze i ragazzi marcano il territorio, come i cani, pisciando quando il segnale non arriva più.
A seguire, uno dei tanti guizzi della pellicola. C'è un match importante da giocare. Un Guccini allenatore, e sponsor, fa la ramanzina a tutti: si rischia la retrocessione. Freccia, innervosito dalle risatine di scherno dell'attaccante (che gli ha fatto due gol l'anno prima), comincia a corrergli incontro quando l'arbitro neppure ha fischiato. Tito, vedendolo, comincia a esultare. Freccia falcia l'avversario appena l'arbitro fischia. Rissa generale. Meraviglioso.

Freccia, sfrontato ma insicuro. Freccia, una famiglia disastrata. Spacca il naso all'insolente patrigno e molla tutto, andando a vivere in radio, sulle note di "Incontro", la canzone più suggestiva di Guccini. Ligabue non avrebbe potuto scegliere meglio.

La NATO anni fa usava un filmato didattico particolare. Ogni tanto, in modo sorprendente, tale filmato veniva interrotto dall'apparizione di Mickey Mouse che suonava la tromba per risvegliare la tensione assopita degli astanti. Perchè? L'attenzione del pubblico ha un ciclo di circa 20/25 minuti. Il picco arriva intorno ai 10minuti e via via cala. L'industria del cinema ha sempre preso in grossa considerazione tale dettame. In "A qualcuno piace caldo", Marylin Monroe appare solo dopo 24minuti e 14secondi. In "Basic Instinct", l'ormai celeberrimo accavallamento di gambe di Sharon Stone è al ventiseiesimo minuto e mezzo.
Liga non è arrivato impreparato a questo film, si è messo sotto a studiare i grandi del cinema e sembra aver imparato bene la lezione. Si gioca infatti il jolly intorno alla mezzora, il famoso monologo di Freccia in radio:

"Credo nelle rovesciate di Bonimba e nei riff di Keith Richards. Credo al doppio suono di campanello del padrone di casa che vuole l'affitto ogni primo del mese. Credo che ognuno di noi si meriterebbe di avere una padre e un padre che siano decenti con lui almeno finchè non si sta in piedi. 
Credo che un'Inter come quella di Corso, Mazzola e Suàrez non ci sarà mai più, ma non è detto che non ce ne saranno altre belle in maniera diversa. Credo che sia tutto qua, però, prima di credere in qualcos'altro, bisogna fare i conti con quello che c'è qua, e allora mi sa che crederò prima o poi in qualche dio. 
Credo che se mai avrò una famiglia sarà dura tirare avanti con trecentomila lire al mese, però credo anche che se non leccherò culi come fa il mio caporeparto difficilmente cambieranno le cose. 
Credo che c'ho un buco grosso dentro, ma anche che il rock'n'roll, qualche amichetta, il calcio, qualche soddisfazione sul lavoro, le stronzate con gli amici... Beh... Ogni tanto questo buco me lo riempiono.
Credo che la voglia di scappare da un paese di ventimila abitanti vuol dire che hai voglia di scappare da te stesso, e credo che da te non ci scappi neanche se sei Eddie Mercx. 
Credo che non è giusto giudicare la vita degli altri, perchè comunque non puoi sapere proprio un cazzo della vita degli altri. Credo che per credere, in certi momenti, ti serve molta energia. Ecco, vedete un pò di ricaricare le vostre scorte con questo..."

Tanta roba, Freccia, tanta roba.  
E da lì parte "Rebel rebel" di David Bowie sulle cui note si susseguono altre istantanee perfettamente a fuoco.
I ragazzi portano i loro vinili in radio a Bruno, che ha ormai consumato i suoi: "Sticky Fingers" degli Stones (nella rara prima edizione con la vera zip in copertina), i Doors, i Pink Floyd di "Dark Side of the Moon", per finire con il 45giri "Non mi tenere il broncio / Lei" di Adamo.
L'ultimo, nonostante stonasse tra quei mostri sacri del rock, ha cantato pezzi mirabili come "La notte" (usata da Verdone in "Sono pazzo di Iris Blond"), "Perduto amor" (reincisa da Battiato, che ha chiamato così il suo primo film); la stessa "Lei" fu inserita in "Ecce Bombo" e ne "Il Caimano" da Nanni Moretti.
E' Iena che glielo ha portato, quello a cui piace Radio Rai. Bruno glielo riconsegna con un sorriso: non è roba per Radio Raptus.
                                                                                                                                           ...CONTINUA QUI 
                                                                                                                                    

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