18 maggio 2013

LETTERA A P.




"In "Nome e Cognome" racconto quello che mi è successo negli ultimi tre anni. Come la morte di mio cugino Gianni a causa di una brutta malattia. Per me lui è stato come un fratello, abbiamo condiviso sogni e desideri. Ma non sono riuscito a dirgli tutto quello che avrei voluto. Così l'ho scritto in Lettera a G." Luciano Ligabue

Questo non è un articolo per voi, no, queste parole sono per me e per pochi altri. Avete sicuro di meglio da fare, non vi trattengo. Questa è una lettera a Pasquale ma lui non potrà mai leggerla: se n'è andato qualche anno fa e non l'ho nemmeno salutato.

                                                       BUON VIAGGIO

"Se ti scrivo solo adesso, un motivo ci sarà..."

Era un mio cugino alla lontana, anzi, non era nemmeno mio cugino perchè i miei zii lo avevano adottato. Avevano una masseria in campagna e servivano braccia maschili per lavorare la terra. E Pasquale aveva bicipiti larghi e un sorriso stampato in viso come una paresi di felicità. Ce l'ha avuto sempre, anche quando la malattia lo stava mangiando da dentro. Eravamo cresciuti insieme, l'età era la stessa, la bontà d'animo pure. Lui però è sempre stato più uomo di me, e appena potevo gli rubavo qualcosa. Ero ragazzino e andavo a passare qualche settimana di vacanza da loro, e giocavamo, giocavamo sempre. C'era una montagnola di larghi massi tra i campi di grano e gli ulivi e si giocava a passarci in mezzo, sgusciando tra le aperture di luce tra uno e l'altro. Entrava a nord e usciva da tutt'altra parte, come un castoro apriva tunnel sempre nuovi. Io invece mi cacavo sotto, pensavo sempre mi sarebbero caduti addosso e schiacciato come un lombrico. Cercavo di soffiargli una stilla di coraggio ma non ce la facevo, aspettando che uscisse chissà da quale nuovo pertugio.
Una volta rimase sotto ed io iniziai a preoccuparmi, a chiamarlo, a cercarlo. Poco dopo lui sbucò, solo il bianco del sorriso, trionfante: una delle sue solite burle, ci cascavo sempre.


Coraggio zero ma il rispetto quello si, non mi mancava. Ricordo una volta che litigammo stupidamente; giocavamo a carte ma ci fu un diverbio e alla fine mi tirò uno schiaffo. Forse me lo meritai, forse fu lui a fare lo stronzo, non lo so. Corsi via piangendo, avrò avuto 12 o 13 anni e si, piansi, una donnicciola.
Gli zii si incazzarono e lui scappò via, non lo vedemmo più. Lo zio - sguardo incazzato dietro lenti spesse due dita - aveva già la cinta pronta. Lo cercavamo e niente, non si trovava. Gli zii iniziarono ad aver paura fosse uscito di casa e scappato via, nel buio della notte. Lo cercai anche io e alla fine lo trovai accucciato dietro il divano. Lui alzò gli occhi e, implorante, mi fece segno di stare zitto. E così feci, non potevo tradirlo, nemmeno dopo uno schiaffo.
Quando cominciarono a gridare fuori dalla porta, impauriti, Pasquale uscì fuori, per non far penare oltremodo i suoi. Ci mandarono a letto, dove si scusammo a vicenda e rimanemmo a parlare sino a tarda notte. 
E poi le partite a dama, i rigori sul terrazzo tra i cani e i gatti, il suo ciuffo ribelle e i primi racconti di donne, la Vespa e il laghetto artificiale pieno di pesci, gli abbracci durante le feste dei parenti e la vita che ti allontana, sempre più, come un filo di nylon che tiri e alla fine si spezza e ciao, si, ciao.

"Il destino ha la sua puntualità..."

Io ero lontano quando si innamorò e si fidanzò. Ero lontano quando la malattia lo colpì, come una freccia velenosa scoccata da una mano invisibile. Ero fottutamente lontano quando fu costretto sulla sedia a rotelle e nessuno capiva cosa cazzo avesse, ed ero incredibilmente lontano quando si sposò.

"Hai lottato come un uomo con la brutta compagnia,
che non eri mica stanco, che nessuno mai è pronto
quando c'è da andare via.
Hai pregato bestemmiando, per la rabbia
per tutta l'agonia,
per le scelte che stava facendo Dio."

Provai a chiamarlo il giorno dopo per fargli gli auguri ma i telefoni erano spenti, era già partito per la luna di miele. Non riuscii a parlarci più.
Un giorno, ero in Norvegia credo. mia madre mi dice "Pasquale è morto" e io sono caduto. Ci eravamo persi si, ma pensavo di rivederlo un giorno, pensavo di parlarci e di sentirlo ridere, perchè ogni volta che rideva mi si spalancava il cuore su quel mucchio di massi dove giocavamo in mezzo alla campagna.
Ogni volta che sento "Lettera a G" di Ligabue penso a te...

"Se ti scrivo solo adesso,è che sono io così
è che arrivo spesso tardi
quando sono già ricordi che hanno preso casa qui.
Non è vero ciò che ho detto, qua c'è tutto a dire che ci sei
fai buon viaggio e poi, poi riposa se puoi."

E si Pasquale, sto piangendo, perchè vorrei vederti di nuovo uscire da dietro un divano qualunque della mia vita. Quella sera in cui mi hai dato uno schiaffo, mi dicesti che ero un bambino. Io non ti ho mai visto piangere, mai una volta, nemmeno quando lo zio ti prese a cinghiate. Certe cose non sono riuscito a rubartele, perdonami per questo e per non averti salutarti quando c'eri. Conoscendoti, mi diresti che non fa nulla e che mi vuoi bene lo stesso. O è solo quello che mi piace pensare.
Buon viaggio amico mio.

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