12 giugno 2013

LA COLONNA SONORA DELLA NOSTRA INFANZIA





Il primo progetto lavorativo che mi vide impegnato mi fece volare in Qatar, posto dall'indubbio fascino.
Ricordo i mega Suv che sfrecciavano nel deserto, qatarini annoiati che si divertivano sgommando tra le dune. Tutta gente dal girovita spudorato perchè loro lì mica lavorano, macchè, ci pensa il governo a mantenerli dividendo i profitti annuali. Come se Berlusconi e Bersani invece di rubare provvedessero a spartire i proventi dello Stato. Il mondo al contrario.
Guidavano come labrador sbronzi; ricordo le auto distrutte al bordo della strada e abbandonate: era meglio comprarne un'altra, tanto i soldi non mancavano. In più la benzina costava praticamente nulla...
E ricordo i colleghi inglesi, dei gran bastardi. Colleghi eh, stessa agenzia, stessa persona che ti scuce il bonifico mensilmente, eppure appena potevano ti inculavano. Avevano paura che noi giovani gli fottessimo il lavoro. Guadagnavano il doppio di noi, avevano i soldi che gli uscivano anche dagli orifizi meno nobili e nonostante ciò spaccavano le balle.
Il bello è che erano tutto tranne che irreprensibili. Zoccole cinesi fisse in casa (delle sorta di colf porno ad ore), zero educazione e birre quasi fosse acqua. Una volta tornai a casa e trovai sto tizio alto un metro e uno sputo riverso per terra in cucina. Dormiva lì, mezzo nudo, circondato dal suo stesso vomito, scena immortalata da una foto che ancora conservo. Ve la risparmio, una cosa abominevole.

                          LE SIGLE PIU' BELLE DEI CARTONI ANIMATI - Pt. 3

La Corniche, il lungomare di Doha, era pittoresco e pulitissimo: sembrava una cartolina fotoscioppata. Uno sciame di modesti pescatori si dava da fare, cercando di tirar su qualcosa. La maggior parte ciondolava inutilmente con la canna in mano. In un angolo, però, spiccò un tizio barbuto che tirava su pesci ad una velocità incredibile. Non so se fosse la pastura o proprio il posto scelto, eppure vedevo gli altri pescatori schiumare rabbia. Lui invece sorrideva sotto i baffi, tronfio come Balotelli dopo il gollazzo alla Germania. Avevo scovato il Sampei dei paesi arabi.

Ecco, Sampei è uno di quei cartoni animati la cui sigla non rendeva giustizia al bel cartone animato: cantata dai Rocking Horse e risalente al 1982, non mi è mai piaciuta granchè.
I disegni erano quello che erano, più volte l'artista del blog Antonio si lamentava dei visi e dei profili dei protagonisti ma lì è deformazione professionale, perdonatelo.
Si perchè da bambino dei visi me ne fregavo altamente: Sampei sapeva come tenerti incollato allo schermo.
Dove arrivava lui c'era sempre un pesce mostruoso da catturare:  carpe giganti, salmerini, pesci dragone, trote cobalto e il mitico pesce Takitaro.
Personaggio dall'indubbio fascino risultava Pyoshin, il maestro di Sampei, con quella cicatrice sull'occhio destro. Gliel'aveva procurata suo padre arpionandogli il viso con un amo durante una battuta di pesca. Ecco, questa cosa mi fa ribrezzo ancora oggi e da piccolo ricordo che quando vedevo qualcuno pescare, da un lato c'era la curiosità di avvicinarsi, dall'altra mi tenevo a distanza di sicurezza.
Devo però ammettere che Sampei elevò in me il richiamo della natura e, in particolare, il fascino di laghi e fiumi. Da piccolo ero frustrato, dalle mie parti il mare è uno dei più belli del mondo ma di ruscelli o specchi d'acqua neanche a parlarne. Mi sfogavo pescando pesciolini lunghi quanto un mignolo tra le scogliere a mare ma non aveva lo stesso fascino, non dopo aver visto in tv mostri squamati di un metro volare fuori dall'acqua.
In Qatar non avevo la canna per pescare. Quando però mi spostarono a Dubai, me ne comprai una e da novello pescatore, mi cimentai nel meraviglioso porticciolo di Hamriya. C'erano pesci lunghi quanto la mia mano che abboccavano quasi fosse magia. Erano talmente tanti che si cibavano anche delle sigarette del mio collega, era troppo facile tirarli su. Li vedete qui nella foto e fidatevi, erano più grossi di quel che sembrano.

Alzammo la posta e con un artificiale metallico, una mattina tirammo su un bel pò di aguglie, serpentoni di mare simili a delle anguille. Ogni aguglia tirata su era una scarica di adrenalina pazzesca.
Alzammo ancora di più la posta cercando di far saltare il banco e comprammo degli artificiali di plastica, lunghi, per provare a tirar su pesci ancora più grossi. Ricordo che la prima volta che lo lanciai non accadde nulla. La seconda arrivai ancora più lontano, volteggiava in aria leggiadro, ma quando l'esca stava solleticando il pelo dell'acqua vidi una bocca enorme inghiottirlo e spezzarmi il filo. Feci un balzo all'indietro, per la paura e per il rinculo della canna che mi era rimasta in mano, delusa. Era un enorme barracuda, mi disse il collega. Avevo trovato il mio pesce Takitaro.

Da piccolo ero molto pacato. Non credo di aver mai fatto a botte in vita mia, a parte qualche scaramuccia di poco conto.
Ero ancora alle elementari e tornavo a casa. Mia madre si fermò dal fruttivendolo e io rimasi in auto qualche minuto. A qualche metro da me un paio di ragazzi stavano discutendo. Uno era molto piccolo, avrà avuto la mia età; l'altro era già più grande e smaliziato. Non so quale fu la causa scatenante ma quello più grande cominciò a pestare l'altro, con maschia decisione e senza troppi fronzoli. Ricordo gli occhiali del povero bimbo che volarono in terra e l'altro andare via allegro, come se fosse stata la cosa più naturale del mondo.
L'altro si rialzò piangendo, aveva le guance gonfie. Si sistemò gli occhiali ma pendevano tutti da un lato e si asciugò le lacrime. Nessuno che si fosse fermato ad aiutarlo.
Io avevo il cuore in gola, ero davvero un bimbo ma non mi scorderò mai quei due visi. Col picchiatore ci siamo conosciuti da grandi e abbiamo giocato a calcio insieme più volte, ma non gli ho mai dato davvero confidenza. Ho sempre continuato ad averne paura, poco da fare.

Il mio animo da femminuccia mi ha sempre portato verso cartoni animati più tranquillizzanti. E' per questo che non ho mai amato particolarmente quelli troppo cruenti; l'Uomo Tigre di cui ho parlato in una articolo precedente era la classica eccezione alla regola.
E' quindi facile capire il perchè non abbia mai seguito Ken il guerriero, uno dei must della mia generazione. E' uno dei miei altarini, poco da fare. Sarò uno dei pochi ragazzi a non averne mai visto nemmeno una puntata.
Credo che la sua mancanza nella mia vita sia anche dipesa dal fatto che, a casa mia, la rete privata che lo trasmetteva non si vedeva affatto. Oddio, ho vissuto felicemente anche senza vederlo eh...
Il successo di questo cartone animato deflagrò come dieci bombe legate con della miccia esplosiva, grazie ad un sapiente mix di ingredienti quali amicizia ed amore, il senso di sacrificio, il dolore e le arti marziali, trasfigurati da un futuro collassato. Incredibile come il successo dell'anime in Italia anticipò la stampa del fumetto: il manga infatti arrivò dopo.
La sigla è cantata da Claudio Maioli (nascostosi dietro lo pseudonimo Spectra), compositore e arrangiatore di indubbio spessore. Come pianista ha collaborato anche con Lucio Battisti, Antonello Venditti e Ivan Graziani.
Ammetto di avere ascoltato questa sigla solo ora per intero. Porca miseria, veramente bella e di grande impatto. Mea culpa, mea maxima culpa. Incasso il colpo in silenzio, prendo e porto a casa.

Come si può invece vedere dalla meravigliosa opera di Antonio qui sotto, lui era uno di quelli che ne andava matto, disegnandoselo sul diario al liceo e non perdendosene una puntata. Io ammiravo i suoi disegni su quel diario tanti anni fa e scuotevo la testa, erano splendidi. Oggi il cerchio si chiude con questo scintillante cadeau per voi.

Ken il Guerriero di A. Chimenti

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