14 febbraio 2014

PARIGI, PARIGI A ME VA BENE





Flavio è stato un buon amico. E' durato poco, il primo anno di Geologia e poi ha mollato Potenza per tornarsene a Salerno, facoltà sicuramente più frizzante e piena di gnocca, scopo dichiarato di ogni sua azione.
In quel primo anno ci siamo divertiti molto, non ci fermava neppure la neve. Trovavamo sempre qualcosa da fare per ammazzare la noia: andavamo a stuzzicare le amiche di corso, bazzicavamo pub e bar sempre diversi, cinema e serate universitarie. Donne? Nemmeno a parlarne...
Nel mio palazzo abitava Mara, una biondina sciapita ma formosa e con un bel sorriso. Ci salutavamo per cortesia quando ci si incontrava nell'androne e nulla più. Un giorno a mensa, Flavio era stranamente silenzioso mentre io parlavo con suo cugino. Arrivati al dolce, Flavio scoppiò a ridere, sputando platealmente nel piatto il boccone di budino: si girarono tutti a guardarlo.
Io mi misi una mano per coprirmi il volto, sussurrando un leggiadro "Cazzo fai?", ma lui continuava a ridere. Quando si riebbe, finalmente vuotò il sacco: la biondina - che aveva appena finito il pranzo ed era andata via - era seduta al tavolo vicino e non aveva fatto altro che parlare di me alle sue amiche, dicendo cose tipo "Ma non è proprio bono?" e "Mamma come me lo farei..." e lui aveva origliato tutto, ogni singola parola. Io, al solito sveglio come Renzo Bossi, non mi ero accorto di nulla...

                                      IL DADO - DANIELE SILVESTRI

Che poi, a me bono non me l'aveva detto nessuno, doveva essere più disperata di me... Non che mi facesse impazzire, però avrei fatto volentieri un ottovolante sui suoi fianchi invitanti. Ci provai con discrezione, ma era già fidanzata. Non che fosse questo gran problema, ma il tipo in questione sembrava Donkey Kong: un armadio a due ante, brutto brutto brutto, e faceva il pugile. A me le bionde non sono mai piaciute, come disse il castoro rosicando un nuovo tronco...

Con Flavio avevamo in comune la passione per la musica. I gusti però erano differenti: io ero più indirizzato sul rock e sul pop mentre lui ascoltava molta roba indie e dub/metropolitana, dai 24 Grana ai 99 Posse, passando per gli Almamegretta. Mostrava con orgoglio le sue radici musicali.
Su un album però fummo d'accordo: "Il Dado" di Daniele Silvestri. E visto che era un maestro nelle citazioni fulminanti, ricordo le sue poche eleganti parole: "E' fico perchè dentro ci trovi la politica, la parte più stimolante delle donne e  gli scarti fecali umani".
Ho dovuto ovviamente ripulire di molto, penso che alle vere parole possiate arrivarci da soli...
Si perchè c'è davvero una canzone che parla di escrementi e di sedute sul trono, ma c'è anche tanto altro.
Conservo ancora la cassettina originale a casa, e ho ben nitido in mente anche il senso di smarrimento che provai al primo ascolto. Lungo, lunghissimo, sovraccarico di musica e di lampi. Fui assalito da qualche dubbio e pensai di aver speso male i miei soldi. E poi quella copertina tirata via...
Bastò solo qualche altro ascolto e capii di essere seduto dalla parte del torto.
"Seguimi", con la sua aura elettrica ad accompagnare un testo molto sentito, offre spunti letterari semplici quanto illuminanti:
"Seguimi se hai la forza di rallentare.
Seguimi, se hai ginocchia per inciampare.
Seguimi, se hai il coraggio di peggiorare."
Le distorsioni non bastano a mascherare la fragilità, che si dipana in un finale intimo, raccolto come un abbraccio di fronte all'oceano.
Segue la particolare "Hold me", in cui il cantautore romano mischia inglese e italiano per costruire un testo basato su dubbi amorosi. La prima volta la ascoltai distrattamente per radio - Publiradio, solo musica italiana - e non lo riconobbi, annebbiato da quel falsetto curioso. Pian piano ha bastonato i dubbi, trovando spazio e calore: continua a piacermi molto. Certo, un inizio di disco non certo accomodante.
Poi arriva "Cohiba", una delle prime tante hit silvestriane, che si muove sui territori e sui ricordi di Che Guevara. Stranamente fu soltanto il terzo singolo, ma fu quello che fece esplodere definitivamente il disco. Devo essere sincero? Oggi spesso la skippo, forse perchè i troppi ascolti l'hanno usurata, forse perchè l'album è pieno di cieli altrettanto belli.
Penso subito a "Me fece mele a chepa", cavalcata musicale on the road che si snoda lungo le più intriganti località pugliesi. La base reggaeggiante è molto piacevole, con un incedere finale in crescendo che trascina.

Dalla Puglia, grazie ad un unico fil rouge, ci si ritrova a perdersi per le "Strade di Francia", la Gioconda del disco. Fu scelto come quarto singolo e rimase quasi nascosta, come si fa con le cose preziose da non sciupare troppo.
"Parigi, Parigi a me va bene per non tornare più."
Nella registrazione resta anche la falsa partenza chitarristica, un piccolo segno che testimonia quanto sia reale, tangibile.
"Così io ti prendo per mano e ti porto con me,
perchè a darsi un appuntamento che speranza c'è..."
Ecco, fatevi prendere la mano da questa melodia, vi porterà per i migliori sentieri d'Oltralpe, con la grazia di chi vi vuole bene.
Il viaggio finisce qui? Quando mai, c'è ancora l'Olanda da visitare, quella di "Banalità", divertissement con arrangiamento festaiolo da banda di paese e testo altrettanto scanzonato.
Il disco, musicalmente, veleggia su linguaggi eterogenei, slalomeggiando tra rock e rap e tra canzonetta e pop d'autore, segno distintivo della vorace curiosità musicale di Silvestri. E certo male non fa l'esperienza di Max Gazzè al basso, qui come grandioso sparring partner prima di esplodere in proprio.
Alla mente riaffiorano briciole d'amor sanguinante ("Un giorno lontano", dal ritornello arioso) e momenti più easy ("Samantha"), ma anche lo stralunato incontro con un vecchio amico, "Pino (Fratello di Paolo)", piccola sceneggiatura che sfocia nel drammatico, sempre con sottile ironia.
E prima del finale, Silvestri regala un altro gol da Playstation, quella "Lasciami andare" briosa e gustosa come "du spaghi all'amatriciana".
E così ti ritrovi alla fine del disco - dopo oltre 83minuti di note e parole - ad aver voglia di ripartire subito, perchè non è mai l'arrivo ad importare quanto il viaggio. Un viaggio non privo di momenti di down, intendiamoci, ma derivante dalla voglia positiva di strafare, di regalare colori tutti suoi all'arcobaleno. Era tanto tempo fa, prima dei tormentoni sanremesi, prima del vero successo, prima. Eppure per me è qui, adesso, ancora, e continua a farmi star bene. O forse le mie sono solo banalità, banalità...

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