5 giugno 2015

INTERVISTA A PAOLA DE SIMONE




"Buona parte del giornalismo rock è gente che non sa scrivere, che intervista gente che non sa parlare, per gente che non sa leggere." Così parlò Frank Zappa, e certo ce l'aveva con quelli come me, che mi diletto a scribacchiare di musica. Non vale invece per un'apprezzata giornalista - oggi blogger dell'Huffington Post - e speaker radiofonica di Radio InBlu come Paola De Simone, che stimo ormai da tanto tempo. La conobbi grazie a Rockol, capostipite del giornalismo musicale sul web, grazie a opinioni sempre ben calibrate, mai oltre di una virgola. Intervistandola, mi ha confermato - tra ricordi, sorrisi e stilettate - tutte le buone impressioni che mi ero fatto su di lei.

                   IN EQUILIBRIO TRA NOTE E PAROLE di Antonello Vanzelli

Ricordi i dischi dei tuoi genitori? Cosa si ascoltava quando eri solo una bimba?
E come dimenticare mio padre che mi svegliava con la voce di Claudio Villa e mia madre che cucinava sulle note di Julio Iglesias. Così sono cresciuta facendomi spazio tra "Un amore così grande" e "Se mi lasci non vale", tutto il resto è stata una conquista. Purtroppo a casa mia è mancata una vera e propria cultura musicale, ma ho certamente ripreso da mio padre la passione per il belcanto.

Covi una qualche nostalgia? Il tuo ricordo più bello legato alla musica?
Nostalgia nessuna, ma certamente l’aver lasciato Milano - con quello che professionalmente significava per me - non è quel che si dice un bel ricordo. Infatti è lì che mi conduce il mio pensiero più bello legato alla musica: era il 3 gennaio del 2003 quando - durante i funerali di Giorgio Gaber - arrivai nella capitale lombarda per lavorare nella redazione di Rockol (dove tra l’altro mi ero anche accampata in attesa di abitazione). Sentivo dentro una tale energia che pensavo di poter spaccare il mondo!

Sono cresciuto con Rockol e con le tue recensioni, sempre equilibrate. Come arrivasti a Rockol? Ricordi la tua prima recensione?
Intanto grazie, soprattutto per aver definito equilibrati i miei scritti, lo trovo un gran complimento! A Rockol arrivai tramite Musicaitaliana.com, il sito da cui nel 2000 mi iniziai al mestiere di giornalista, tra i due portali ci fu una fusione e così mi ritrovai a lavorare per entrambi. La mia prima recensione non la ricordo, ma quando incappo in qualche scritto dell’epoca, mi faccio tanta tenerezza... ero inesperta, ma assai entusiasta.

E la prima intervista radiofonica? Ci racconti come andò? Eri emozionata?
La prima intervista radiofonica credo di averla fatta a Samuele Bersani, nel lontano 2004. Le sfumature di quel ricordo le ho perse strada facendo, ma il giorno dopo Bersani mi chiamò per dirmi che si era divertito ed era stato bene. Per cui immagino che non sia stata proprio un’intervista inascoltabile, anche se per l’emozione mi tremava assai la voce. E a pensarci bene, forse Samuele ha chiamato per vedere se ero sopravvissuta! Ahahaha!


Parlando di interviste, quali sono gli artisti con cui ti sei trovata più in sintonia durante la tua carriera?
Quando mi fanno questa domanda finisco sempre con il parlare di Piero Pelù, perché amo molto il suo modo di affrontare le interviste: è conciso, chiaro e con un’ottima padronanza della sintassi, da buon toscano. E io considero la fluidità lessicale un talento prezioso. Se poi devo far parlare il cuore, invece, penso a Tiziano Ferro. Sono partita praticamente con lui e ho persino "rischiato" di lasciare tutto per fargli da assistente. Se penso che alla sua richiesta di seguirlo in tutto il mondo risposi di no perché non conoscevo le lingue, mi viene da ridere. Speriamo se lo sia dimenticato!

Quali invece quelli con cui non c’è proprio stato feeling?
Certamente Alice è una di quelle persone con le quali non andrei mai a cena fuori. E’ troppo scontrosa per la mia ricerca di serenità.

C’è un artista che hai sempre sognato di intervistare?
Mina, così, scoop alla mano, le mie quotazioni si impennerebbero ahahaha no, scherzo! In realtà ce ne sono due: il mio idolo dell’infanzia/adolescenza e il mio maestro di gioventù. Parlo di Gianni Morandi (che da bimba chiamavo zio Gianni) e Francesco Guccini, ho sempre e solo sognato di intervistarli, senza farlo mai, e probabilmente mai lo farò. Certi miti vanno lasciati al loro posto, non sopporterei di scoprire che visti da vicino non sono come li ho sempre creduti. Anche se con Morandi ho addirittura improvvisato un canto "stonato" durante un concerto e con Guccini mi sono ritrovata a cena fuori, sapeste quanto aglio mette sulla pizza! (ride, ndr.) Se invece mi concedi di sognare, ti rispondo che vorrei intervistare Domenico Modugno, per chiedergli cosa si prova a volare. 

C’è una canzone che riesce a farti commuovere? 
In realtà tante, ma quella che certamente mi strazia di più è "Fade out" di Mariella Nava. E’ dedicata a Piergiorgio Welby, attivista politico e giornalista che fece della propria vita un simbolo per il riconoscimento del diritto all’eutanasia e al rifiuto terapeutico. Una grande canzone per una delicata battaglia. 


Sei stata molto critica con l’ultima edizione di Sanremo e con Carlo Conti… Se potessi scegliere a chi lo faresti condurre? E a quali artisti – magari meno considerati - daresti una chance?
Il Festival di Sanremo lo amo e lo odio, partiamo da qui. Così si capisce meglio perché mi accenda così tanto. Sono stata molto critica nei confronti di Carlo Conti, è vero, perché non mi piace come conduttore, pur essendo una persona stimabilissima. Nonostante questo, sapevo che i numeri gli avrebbero dato ragione, l'ho anche scritto in un articolo sull'Huffington Post, per cui il suo successo non mi ha colto di sorpresa. Detto questo, tutti dobbiamo senza dubbio complimentarci con lui, perché ha risollevato le sorti televisive dello show e ha offerto uno spettacolo pulito e completo, ma la sua idea commerciale della musica è lontana dalla mia. Io sono una baudiana e continuo a sognare qualcuno con un’ossatura e una personalità artistica più robusta: facciamo Fiorello?
In quanto agli artisti, vorrei rivedere su quel palco Fabio Concato, Eduardo De Crescenzo, Sergio Caputo e Nino Buonocore. Chissà se loro vorrebbero tornarci! 

Cosa ne pensi dei talent? Li guardi? Servono davvero alla moribonda discografia italiana? Peter Gabriel li ha definiti “l’umiliazione finale”... 
Guardo solo X Factor, ma a essere sincera ad attirarmi è sempre stato Morgan, per le sue riflessioni e la sua geniale follia. Tutto il resto non lo vedo, ma solo perché mi annoia. Personalmente non ho niente contro i talent, quello che mi dispiace è che siano diventati l’unico trampolino di lancio. Io sono per la pluralità di voci, di possibilità e di scelte, e tutto questo oggi nella musica non lo vedo. Non so se una colpa c’è e di chi sia, ma spero che questo scenario monocorde si esaurisca presto. E comunque la definizione di Peter Gabriel è bellissima, chapeau!

Chi secondo te non ha raccolto quanto meritava?
Non lo so, qualcuno ci sarà stato, ma è già passato nel dimenticatoio. Per fortuna Marco Mengoni invece ce l’ha fatta, sarebbe stato un grande talento sprecato. Adesso gli servono buone canzoni, però, altrimenti il suo futuro artistico lo vedo complicato.

Pochi anni fa in un’intervista hai detto che della musica ti eri un po’ disinnamorata... Come mai se posso chiederlo?
Quando Ivano Fossati e Francesco Guccini escono di scena, quando Pino Daniele, Lucio Dalla ed Enzo Jannacci ci lasciano, quando a riempire gli stadi è Biagio Antonacci, necessariamente viene un po’ a mancare la motivazione. A me almeno è successo così. E per questo mi potete trovare aggrappata a Paolo Conte come un koala al suo ramo, e guai a chi me lo tocca. 


Qualche tempo fa, Sergio Caputo si scagliò contro Radio 105, rea di non considerare il suo ultimo singolo. Nervo scoperto quello della situazione dei network radiofonici: palinsesti standardizzati, network che spingono dischi da loro stessi prodotti, spazio per il rock e per i giovani vicino allo zero… Come si esce da queste sabbie mobili?
Quello che non dobbiamo dimenticare è che le radio sono aziende e, come tutte le aziende, hanno da fare i conti con un fatturato. Questo smonta ogni poesia, ma prima ci facciamo i conti e meglio è. Detto questo, non voglio giustificare la massificazione che stiamo vivendo, è un fatto che quasi tutti trasmettono le stesse canzoni, che ai soliti noti si concedono passaggi e passaggi (anche per singoli che non sarebbero neanche degni di sorreggere un tavolino traballante) e che gli editori abbiano allargato il loro giro d'affari entrando di fatto nel circuito discografico, creando così un non piccolo conflitto di interessi. Il male lo conosciamo tutti, è la cura che manca. Qualcuno ha una buona idea per adottare una selezione più eterogenea e meritevole, senza mortificare gli ascolti e di conseguenza i guadagni dell’azienda? Qualcuno ha una buona idea per imporre agli editori di non sconfinare dai propri steccati? Se la risposta è sì, fatevi avanti e cambiate questa realtà, perché ne siamo tutti un po’ stanchi.

Hai ormai una lunga carriera alle spalle, sia come speaker radiofonica che come giornalista musicale. In quale ambito ti trovi meglio? Per il futuro professionale quale porta ancora sigillata vorresti aprire? 
Scrivere è la mia prima spinta ed è anche la mia zona di comfort, mentre la radio è uno stimolo continuo e anche un divertimento, per questo non voglio scegliere tra loro. Anzi, mi piacerebbe allargare le mie competenze e magari sperimentarmi in qualcosa di nuovo, ma so che non succederà finché qualcuno non mi spronerà. Nella mia vita è sempre stato così: gli altri hanno riconosciuto le mie capacità molto prima di me.

Un’ultima domanda… Quali dischi stai ascoltando in questo periodo? Cosa ci consigli?
Se vi volete bene, ascoltate "Cosmonauta d’appartamento" di Joe Barbieri e "Canto Stefano" di Fausto Mesolella. Due capolavori contemporanei che possono solo piacere.


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