17 ottobre 2016

DISCHI FUORI POSTO




Da adolescenti, ogni partita a calcetto era uno stillicidio di emozioni. No, non durante, ma prima: trovare il decimo era sempre un'impresa disperata. E quando, mezzora prima del fischio d'inizio, lo trovavi, era una pippa immonda che non riusciva a rendersi utile neppure in porta.
Intrusi, e nella musica, di dischi fuoriposto così, ce ne sono fin troppi, ma non sempre negativi, anzi. Il pop italiano degli Anni '90 ha segnato la definitiva esplosione - e poi la consacrazione - di Raf, che infilò una serie infinita di hit assurde, penso a "Il battito animale", "La più bella del mondo", "Due" e a "Dentro ai tuoi occhi". Poi però arrivò un disco strano e bellissimo, inaspettato, come il decimo della partita di calcetto che trovi all'ultimo e che invece di essere scarso ti segna il gol della vittoria piazzandola nel sette.

                                                             INTRUSI di Antonello Vanzelli

"La Prova" uscì sul finire del millennio, stava tramontando il 1998, e Raf fece tutto da solo, senza l'aiuto di altri compositori o parolieri. E fece alla grande, sfornando un album coraggioso, che prendeva le distanze dal resto della sua discografia. Era appunto una prova, che si arrampicava su musicalità più grintose, a metà tra il britpop e il cantautorato rock impegnato. Mi innamorai di "Little Girl", ma lì dentro c'erano anche "Vita, Storie e pensieri di un Alieno" e "Lava", splendide. E c'erano testi molti maturi, impegnati, quasi che l'artista d'origine pugliese volesse dare una sterzata netta. Forse si era reso conto di aver dato tutto quello che aveva di pop e di romantico e avesse bisogno di aria nuova. E il risultato suona freschissimo a distanza di quasi vent'anni. Peccato rimanga un episodio isolato, ma che dire, dopo "La Prova" arrivò "Iperbole", l'album che conteneva "Infinito", una delle più belle canzoni pop degli Anni Zero, e allora come fai a dirgli qualcosa?


Ci sono dischi che una volta registrati e ascoltati prima della pubblicazione, dovrebbero essere riposti nel cassetto e rimanere lì, chiusi a doppia mandata. "Scream" di Chris Cornell ne è l'esempio perfetto. Ho amato i Soundgarden e ho adorato gli Audioslave: i primi due dischi della band creata con Tom Morello, Tim Commerford e Brad Wilk rasentano la meraviglia. Ecco, che centra uno che ha scritto alcune delle pagine più belle del grunge e del rock con Timbaland? Quando ho sentito di questa assurda scelta alla produzione di "Scream", mi sono cascate a terra talmente di botto da lasciare la voragine.
Speravo di sbagliarmi, non è stato così. Un album ruffiano, preconfezionato e zuccheroso che nemmeno Mariah Carey sotto Natale, e che mirava a regalare le grandi platee pop mondiali al singer di Seattle. Quando mai, l'album è stato un flop clamoroso e gli ha solo fatto perdere credibilità nel panorama rock. E dire che ci credeva davvero, tanto da paragonarlo a "The Wall" dei Pink Floyd (sic). L'album peggiore della sua carriera, un intruso clamoroso.
Per fortuna che il tempo aiuta a rimarginare le ferite e a regalare, sorprese inattese: i Temple of the Dog - lo storico supergruppo meteora formato all'inizio dei '90 da membri dei futuri Pearl Jam e Soundgarden - si sono riuniti ed è appena uscita la ristampa - anche in versione deluxe - del loro unico e meraviglioso album, uno dei manifesti dell'era grunge. Ci sono anche due inediti da leccarsi i baffi. Se ai tempi ve lo siete perso, correte ad ascoltarlo su Spotify e poi andate a comprarlo, disco imperdibile. Altro che Timbaland...


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